venerdì 18 settembre 2015

Dal clavicordo al pianoforte: alle origini del mondo in tasti bianchi e neri

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Dal clavicordo al pianoforte: breve viaggio nel mondo in tasti bianchi e neri di Jurij Nascimben è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.

La storia degli strumenti a tastiera è al tempo stesso affascinante e complessa.
Il pianoforte, ad oggi, rappresenta assieme a pochi altri strumenti quella che nell'immaginario collettivo è la metafora della musica stessa, tanto importante è divenuto il suo ruolo nel corso del tempo. In pochi però si soffermano un istante a pensare quale sia la sua storia ed il perché di un simile enorme successo che travalica le distinzioni di genere.

Il pianoforte moderno non è che l'ultimo atto di un processo di trasformazione che ha riguardato gli strumenti a tastiera fin dal Medioevo
Ma il suo predominio mediatico, in qualche modo, nasconde al grande pubblico la varietà e la ricchezza dei sui "cugini" e progenitori. A volte, infatti, si tende a pensare che il pianoforte di oggi sia quanto di più perfetto sia mai stato prodotto nell'ambito degli strumenti a tastiera, quindi si tende a non andare oltre, a non farsi troppe domande. Come a dire che è inutile mettersi lì a capire cosa può aver avuto di interessante un vecchio cellulare degli anni '90 quando oggi disponiamo di sofisticatissimi smartphone. 
Ovviamente, questo è un ragionamento che se è valido nel settore tecnologico, non si applica invece al mondo della musica e all'arte in generale. Prima di tutto perché i progenitori del pianoforte non sono dei "pianoforti menomati", sono altresì degli strumenti con una loro nobile dignità, spesso derivante da secoli di perfezionamenti e da caratteristiche peculiari messe in luce e valorizzate da una letteratura sconfinata. 
Infine, lo strabordante peso culturale del pianoforte moderno ha innegabilmente messo in ombra un'enorme varietà di strumenti sperimentali, i quali dimostrano che fino a un paio di secoli fa i cembalari erano in attività per concepire strumenti sempre nuovi, a volte bizzarri e stravaganti, che dessero un apporto di innovazione al mondo della musica.
Fu proprio nell'ambito di queste ardite sperimentazioni e con questo spirito di ricerca che il pianoforte stesso ebbe la luce.

In questo articolo passeremo in rassegna i momenti cruciali di un'evoluzione straordinaria fatta prevalentemente di tasti bianchi e neri e seguiremo la genesi degli strumenti a tastiera almeno fino al consolidamento del pianoforte come lo conosciamo oggi, avvenuto verso la metà dell'Ottocento.
Questo viaggio sarà accompagnato da alcuni esempi musicali, esecuzioni su strumenti originali o riproduzioni, che ci consentiranno di comprendere le peculiarità di stili e tendenze musicali.



Dove tutto ebbe inizio: il clavicordo

La "stirpe" del pianoforte affonda le sue radici nel Medioevo, quando compare il clavicordo, strumento sulle cui origini non si sa molto. Si tratta di uno strumento a corde percosse nel quale delle tangenti metalliche, azionate dal tasto, vanno a colpire delle corde, le quali entrano così in vibrazione. Il clavicordo è uno strumento dal timbro esile e delicato, da camera, a suo tempo utilizzato prevalentemente per lo studio. Non è infatti uno strumento da concerto: ha un carattere estremamente intimista, non è adatto alla "declamazione" ma si presta altresì alla riflessione.



Ha alle spalle una storia gloriosa e lunghissima. Sarà utilizzato ininterrottamente fino alla seconda metà del Settecento, verrà poi riscoperto nel secolo scorso giungendo fino ai giorni nostri con una miriade di registrazioni, intepretazioni, su strumenti di tipo molto diverso: da minuscoli modelli da tavolo fino a strumenti molto più grandi, che in qualche modo ricordano gli odierni pianoforti verticali.


Un clavicordo

Come abbiamo già accennato, nel clavicordo la corda è percossa da una tangente di metallo, la quale rimane a contatto con la corda fintanto che il tasto è premuto. Questa caratteristica - assente negli altri strumenti a tastiera - consente all'esecutore, esercitando delle specifiche pressioni sul tasto, di creare un particolare "vibrato"
Il dito, quindi, è direttamente collegato con la corda rendendo l'esecuzione, dal punto di vista fisico, accostabile a quella di cordofoni come il liuto o la chitarra. Sicuramente il clavicordo, fra i cordofoni a tastiera, è lo strumento dove la fisicità è più marcata: l'esecutore ha infatti la possibilità di disporre di un grande controllo della corda.
Una delle maggiori possibilità che derivano da questo controllo, oltre al vibrato, è proprio la presenza di una embrionale dinamica sonora piano-forte. È possibile quindi variare l'intensità del suono premendo i tasti con minore o maggiore forza.


Il clavicembalo: potenza e versatilità

Qualche secolo dopo la comparsa del clavicordo, fa il suo ingresso nel mondo degli strumenti musicali il clavicembalo. A differenza del primo, nel clavicembalo le corde anziché essere percosse da una tangente vengono pizzicate da un plettro. Il principio di funzionamento non consente quindi di mantenere un legame tra dito e corda dopo che essa è entrata in vibrazione come nel clavicordo, poiché il plettro sfugge via e poi, quando si rilascia il tasto, ritorna nella posizione di partenza. 
La meccanica del clavicembalo è più complessa rispetto a quella del clavicordo. Nel corso della sua storia vengono messi a punto diversi registri che consentono di ottenere timbri diversi, anche per ovviare al fatto che non è possibile ottenere una variazione di intensità sonora, proprio in virtù del principio di funzionamento dello strumento. 
Vengono progettati e costruiti innumerevoli modelli, anche a più tastiere le quali consentono di alternare registri diversi nello stesso pezzo, al fine di rendere lo strumento ricco di possibilità sonore ed espressive.
Nascono vere e proprie scuole che mettono a punto stili di costruzione diversi, quindi sonorità e peculiarità che li contraddistinguono. Ricordiamo, fra i costruttori più celebri, Ruckers (Anversa) e Taskin (Parigi). Si diffonde anche l'uso del termine "gravicembaloper contraddistinguere la caratteristica dello strumento di estendersi in maniera significativa anche verso le note più gravi, a differenza di modelli più contenuti, soprattutto per uso domestico, come la spinetta o il virginale. (es. "Essercizi per gravicembalo" di Domenico Scarlatti - 1739 e "Sonate di gravicembalo" di Pietro Domenico Paradisi - 1754)


Clavicembalo a due manuali "Ruckers" (1637)
(Museo degli Strumenti Musicali di Roma)

Il Seicento e buona parte del Settecento, oltre ad essere i secoli del Barocco sono anche l'era, nell'ambito dei cordofoni a tastiera, del dominio incontrastato del clavicembalo. Oltre ad essere uno straordinario strumento solista con una specifica letteratura pressoché infinita, il clavicembalo è uno degli architravi della possente struttura del basso continuo ovvero di quella pratica di accompagnamento di strumenti solisti o di intere orchestre che caratterizza tutto il Barocco ed anche parte del successivo Classicismo. Il clavicembalo, spesso assieme ad altri strumenti quali liuto, violoncello, viola da gamba e violone, costituisce quindi l'ossatura della parte di accompagnamento, sviluppando l'armonia che sta dietro alle linee di basso e al contesto armonico generale della composizione.


Sono moltissimi i compositori che, in quest'epoca hanno specificamente scritto musica per clavicembalo, ma qui parleremo delle tre scuole principali: l'italiana, la tedesca e la francese.


In Italia Girolamo Frescobaldi (1585-1643), organista presso S. Pietro in Roma, è uno dei padri fondatori della letteratura cembalistica europea. Nello stesso periodo era attivo nella Capitale anche Michelangelo Rossi (1601/1602 – 1656)

Inoltre Bernardo Pasquini (1637-1710) sviluppò ulteriormente il gusto e la tecnica clavicembalistica. Di grande valore sono inoltre le composizioni per clavicembalo di Alessandro Scarlatti (1660-1725), soprattutto le sue Toccate.
Il Settecento rimane indissolubilmente legato al nome di Domenico Scarlatti (1685-1757, figlio di Alessandro) le cui 555 sonate per clavicembalo rappresentano una pietra miliare di tutta la letteratura per tastiera. 



La scuola tedesca ha i suoi iniziatori in Johann Jakob Froberger (1616-1667, già allievo di Frescobaldi), Johann Adam Reincken (1643-1722), Dietrich Buxtehude (1637-1707) e Johann Pachelbel (1653-1706), i quali saranno i principali ispiratori tedeschi di Johann Sebastian Bach (1685-1750), il quale realizzò nelle sue opere un'originalissima sintesi fra la scuola tedesca ed il gusto italiano, filtrato in Germania soprattutto grazie alle composizioni del fusignanese ma romano d'adozione Arcangelo Corelli e i veneziani Antonio Vivaldi ed Alessandro Marcello. Le opere per clavicembalo di Bach, quali ad esempio Il Clavicembalo ben temperato, le Variazioni Goldberg o le Suite francesi e inglesi, sono universalmente riconosciute come alcune delle più grandi vette della musica per tastiera (e non solo) di tutti i tempi.





La scuola francese ha fra i suoi principali esponenti la famiglia Couperin con Louis (1626-1661) e François (1668-1733), grande cembalista e didatta. 
La struttura della Suite, come successione di pezzi di andamento diverso, soprattutto danze tratte dalla tradizione (ad esempio Allemande, Courante, Sarabande, Menuet, Gigueraggiunse la sua perfezione formale proprio grazie alla scuola francese e fu utilizzata sia sul clavicembalo che in versione orchestrale.
Jean-Philippe Rameau (1683-1764), infine, fu un insigne compositore e teorico ed i suoi Trois livres de pièces de clavecin rappresentano uno dei vertici della musica clavicembalistica del '700, con passaggi di grande intensità e virtuosismo.




Nel frattempo il clavicembalo si era guadagnato anche un ruolo solistico in orchestra affrancandosi dalla sola funzione di basso continuo, grazie soprattutto a J.S. Bach ed al suo Quinto Concerto Brandeburghese prima (1720) e alla serie di tredici Concerti per uno o più clavicembali e orchestra dopo. Degni di nota, fra gli innumerevoli, sono anche i lavori del veneziano Baldassarre Galuppi detto il Buranello (1706-1785), il quale scrisse delle pagine molto interessanti per clavicembalo e orchestra. 


Clavicembalo Dumont (1697) modificato da Taskin nel 1789
Parigi, Musée de la Musique

La connessione fra le sfumature ottenibili con l'esile clavicordo e la potenza e versatilità del clavicembalo ce la fornisce Carl Philipp Emanuel Bach (1714-1788) - uno dei più talentuosi figli di Johann Sebastian - che fu un grande compositore ma anche un valente didatta. 

Egli considerava la pratica al clavicordo molto importante per perfezionare l'esecuzione al clavicembalo. Come egli scrisse nel suo metodo per tastiera ("Versuch über die wahre Art das Clavier zu spielen", 1753, 1762): 
"Ogni cembalista dovrebbe avere un buon clavicembalo e un buon clavicordo per poter suonare entrambi gli strumenti alternativamente. Chi suona bene il clavicordo riuscirà bene anche al clavicembalo, ma non viceversa."


Organisti e clavicembalisti in azione

Molti compositori per strumento a tastiera sono nel Seicento-Settecento sia clavicembalisti che organisti: il caso più noto è sicuramente quello di Johann Sebastian Bach, fra i più illustri rappresentanti di una delle più prolifiche famiglie musicali tedesche. Egli compose infatti con eguale cura e genio sia per l'uno che per l'altro strumento. 
L'organo possiede in comune con il clavicembalo la tastiera anche se la meccanica che vi è dietro, così come il suono che viene prodotto dallo strumento (grazie ad un mantice che invia aria nelle canne), ne fanno uno strumento molto diverso, unico nel suo genere. 
A differenza di tutti gli altri cordofoni (a tastiera e non, fatta eccezione per strumenti come la ghironda) l'organo è in grado di produrre un suono continuo, ininterrotto, la cui durata non è quindi rigidamente legata alla durata della vibrazione di una corda. Questa caratteristica consente all'organista di miscelare diversamente i suoni, fondendoli su scale temporali dilatate. Inoltre, la straordinaria ricchezza dei registri fa sì che sia possibile ottenere timbri molto diversi in base al gusto e all'esigenza. 
Ciò nonostante, la letteratura per clavicembalo ed organo è in molti casi intercambiale, ciò significa che spesso è possibile eseguire al clavicembalo pezzi originariamente concepiti per organo e viceversa, a patto di avere davanti una struttura dei pezzi stessi che lo consenta.

A proposito di clavicembalisti-organisti, rimane scritta nella Storia la celebre sfida al clavicembalo e all'organo fra i coetanei Domenico Scarlatti (1685-1757) e Georg Friedrich Händel (1685-1759), due giganti della musica barocca i quali, ancora molto giovani, si ritrovarono a duellare nel palazzo del Cardinale Ottoboni a Roma intorno al 1709: 

"[In Italia Handel] divenne noto a Dominico Scarlatti, che oggi vive in Spagna [1], ed autore delle sue famose lezioni [2]. 
Giacché [Scarlatti] era un eccellente clavicembalista, il cardinale [Ottoboni] decise di mettere a confronto lui ed Handel per una gara di abilità. L'esito della prova al clavicembalo è stato variamente riportato. È stato detto che alcuni diedero la preferenza a Scarlatti. Ad ogni modo, quando si misero all'organo, non vi fu la minima pretesa di dubitare su chi fosse il migliore. Lo stesso Scarlatti riconobbe la superiorità del suo antagonista, confessando candidamente che prima di aver sentito Handel all'organo non aveva idea delle potenzialità di questo strumento. Rimase così colpito dal suo particolare modo di suonare che lo seguì in tutta Italia, e non era mai così felice come quando era in sua compagnia". 
[1] In realtà, all'epoca della pubblicazione del libro, Scarlatti era già morto da tre anni, questo la dice lunga sulla velocità con la quale a quei tempi le informazioni circolavano da un Paese a un altro.
[2] Per clavicembalo
"Here also he became known to DOMINICO SCARLATTI, now living in Spain, and author of the celebrated lessons. As he was an exquisite player on the harpsichord, the Cardinal [Ottoboni] was resolved to bring him and HANDEL together for a trial of skill. The issue of the trial on the harpsichord hath been differently reported. It has been said that some gave the preference to SCARLATTI. However, when they came to the Organ there was not the least pretence for doubting to which of them it belonged. SCARLATTI himself declared the superiority of his antagonist, and owned ingenuosly, that till he had heard him upon this instrument, he had no conception of its powers. So greatly was he struck with is peculiar method of playing, that he followed him all over Italy, and was never so happy as when he was with him".
(tratto da John Mainwaring, "Memoirs of the life of the late George Frederic Handel", London, 1760, pp. 59 e 60)



Il "gravicembalo con il piano e il forte"

Fra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, nel solco della tradizione di sperimentazione che caratterizzava molti liutai e costruttori, un cembalaro padovano attivo a Firenze mise a punto uno strumento che ad una prima occhiata sarebbe potuto sembrare un clavicembalo ma che internamente montava una meccanica diversa la quale, almeno dal punto di vista del principio base, ricordava quella del clavicordo. 
Il cembalaro era Bartolomeo Cristofori (1655-1731) e lo strumento era una sorta di clavicembalo a corde percosse, per la precisione un gravicembalo con il piano e il forte, che di lì a poco verrà chiamato semplicemente fortepiano o pianoforte. È interessante notare come, nella lingua russa, ancora oggi venga utilizzato il termine fortepiano (Фортепиано) per identificare l'odierno pianoforte.


Uno dei tre esemplari superstiti del fortepiano di Bartolomeo Cristofori (1722)
Museo nazionale degli strumenti musicali di Roma

Il principale obiettivo di Cristofori era quello di produrre uno strumento che consentisse all'esecutore un grande controllo dinamico, rendendo semplice ed affidabile la produzione di suoni "piano" e "forte", a seconda della pressione esercitata sul tasto.

Per far ciò costruì una batteria di martelletti ricoperti ognuno da un feltro (la martelliera), i quali, un po' come avveniva nel clavicordo, percuotevano le corde. Ma, a differenza del clavicordo e come nel plettro del clavicembalo, il martelletto tornava nella sua posizione di partenza subito dopo aver colpito la corda. 
Almeno all'inizio gli strumenti di Cristofori non ebbero un grande successo, se non in alcune corti europee. Le cose cambiarono quando fortepiani iniziarono ad essere prodotti anche da altri costruttori, su tutti il celebre organaro e cembalaro tedesco Gottfried Silbermann (1683-1753), il quale basandosi sui modelli di Cristofori operò dei perfezionamenti che di lì a poco, anche grazie ad illustri allievi quali Joahnnes Andreas Stein (1728-1792), consolidarono la meccanica dello strumento.



Bach pianista

Il rapporto di Johann Sebastian Bach con il pianoforte probabilmente non è ancora mai stato approfondito con la cura che meriterebbe. 
Bach, ferratissimo sulla costruzione di strumenti ed aperto alle innovazioni (memorabile, fra le altre cose, il suo Lautenwerk), provò intorno al 1735-36 due dei fortepiani messi a punto da Silbermann dopo il 1720 e sappiamo che non ne rimase particolarmente soddisfatto: a sua detta, pur avendo un timbro interessante, lo strumento di Silbermann era troppo faticoso da suonare ed era debole nel registro acuto. 
Ma non fu un giudizio senza appello visto che successivamente Bach diede la sua "completa approvazione" agli strumenti del costruttore tedesco. L'orgoglioso Silbermann, non molto aperto a critiche, stavolta aveva fatto tesoro dei consigli e nel frattempo aveva migliorato le sue creazioni.
C'è chi sostiene che Bach fosse particolarmente legato al nuovo strumento a tastiera, tanto da ipotizzare che la prima voce dell'inventario degli strumenti presenti in casa Bach alla sua morte:
"1 fournirt (impiallacciato?) Clavecin che dovrà se possibile restare in famiglia"
facesse proprio riferimento ad un fortepiano. Il fatto che si esortava a farlo rimanere "in famiglia" denoterebbe l'attaccamento di Bach allo strumento. 



Carl Philipp Emanuel Bach, del quale abbiamo già parlato, era dal 1740 clavicembalista della cappella reale di Federico II di Prussia, detto "il Grande". Il Re, flautista dilettante e grande appassionato di musica, aveva esortato più volte Bach figlio a portare suo padre a corte, dove tutti avrebbero potuto ammirare il suo leggendario talento. Quel momento finalmente arrivò nel 1747,  quando Bach giunse nella sontuosa residenza di Sanssouci presso Potsdam, vicino Berlino.

Federico II, negli anni precedenti aveva avuto modo di provare i nuovi fortepiani prodotti da Silbermann, e ne rimase talmente entusiasta da acquistarne in un sol colpo ben quindici esemplari, i quali furono sistemati nelle varie stanze del palazzo. 
J. S. Bach, quella sera in cui visitò il Re e la sua corte, fu amichevolmente "costretto" a provare tutti gli strumenti. 

L'unico superstite fra i 15 fortepiani Silbermann acquistati da Federico II,
ancora oggi visibile nella residenza di Sanssouci presso Potsdam.


Era allora pratica diffusa quella di dare ad un musicista un tema sul quale sviluppare delle improvvisazioni, prevalentemente polifoniche. Con il "vecchio Bach" il Re non fu da meno: gli sottopose un tema cromatico piuttosto complesso (che con ogni probabilità era stato accuratamente preparato in precedenza) sul quale Bach, nello stupore generale, improvvisò una fuga a 3 voci; poi, dopo averlo un po' modificato, Bach vi costruì sopra una seconda fuga, ma stavolta a 6 voci. Promise infine a Federico II che avrebbe sviluppato le possibilità offerte da quel tema in un'opera a lui dedicata, "L'Offerta Musicale".





Il "Thema Regium"



Pare che le fughe basate sul famoso "Thema Regium", sul quale era stato richiesto a Bach di improvvisare polifonicamente, fossero state eseguite proprio su uno dei 15 fortepiani di Silbermann presenti assieme a dei clavicembali nel palazzo di Sanssouci. 

Ed è tutt'altro che remota l'ipotesi che l'intera "Offerta Musicale", basata proprio su quel tema e sul quel particolare momento musicale, fosse in realtà destinata al fortepiano anziché al clavicembalo, come comunemente oggi si ritiene. Infatti non esistono indicazioni esplicite sullo specifico strumento a tastiera solista da impiegare.
"Con reverenziale piacere ricordo ancora la particolare sovrana grazia con la quale, tempo fa, durante una mia visita a Potsdam, Vostra Maestà si degnò di eseguire alla tastiera il tema per una fuga, ordinandomi di svilupparla subito alla Sua augusta presenza. Fu mio deferente dovere obbidire al comando di Vostra Maestà."
Così recita uno dei passaggi della dedica dell'Offerta Musicale a Federico II. 
Il termine "tastiera" in tedesco è qui reso semplicemente con Clavier ("ein Thema zu einer Fuge auf dem Clavier mir vorzuspielen geruheten") ed è solo con questo termine che per lungo tempo si identificarono indistintamente le tastiere, indipendentemente dal loro essere un clavicordo, un clavicembalo o un fortepiano.
Oggi, nella lingua tedesca, con il termine Klavier si intende più nello specifico il moderno pianoforte, ma all'epoca di Bach tale distinzione era, dal punto di vista linguistico, piuttosto irrilevante, a meno che non vi fosse l'esplicita intenzione di riferirsi ad un particolare tipo di strumento a tastiera, come nel caso del termine più tardo Hammerklavier, ossia tastiera con martelletti.



Va da sè che in quella sera del 7 maggio del 1747, a Sanssouci la vera novità ed il vero protagonista dal punto di vista costruttivo dev'essere stato proprio il fortepiano. Come abbiamo accennato, Federico II era talmente entusiasta del nuovo strumento da acquistarne addirittura 15 esemplari da Silbermann. Non erano più gli acerbi strumenti che Bach aveva provato dieci anni prima, ma dei modelli sicuramente più evoluti, anche grazie ai consigli dello stesso Johann Sebastian.

In quell'occasione Bach improvvisò molto e possiamo ritenere che sia il Re di Prussia che tutto il suo seguito di musicisti e cortigiani ivi presente fossero particolarmente interessati, in quel momento, nel vedere il Maestro confrontarsi con l'ultimo grido nel campo della costruzione delle tastiere, strumento che peraltro già gli era familiare. 
Vi è inoltre anche un altro episodio documentato nel quale Bach dimostra il suo interessamento per il fortepiano e ne esorta la diffusione, ovvero un'attività di intermediazione che egli compì nel 1749 per lo stesso Silbermann nella vendita di uno dei fortepiani del grande costruttore.



Il rapporto di Bach col pianoforte rappresenta un ulteriore elemento che contribuisce ad abbattere il mito che ha avvolto il compositore di Eisenach per tanto tempo, di un uomo austero, legato al passato, tradizionalista ed accademico, chiuso alle innovazioni.

Nonostante sia vero che Bach, fino alla sua morte, abbia coltivato e perfezionato forme ed architetture musicali che nel gusto musicale del tempo erano sempre più demodé, è al tempo stesso vero che la sua grande apertura mentale lo portò, fin dalla gioventù, ad esplorare le nuove sonorità che giungevano in Germania dall'estero, come ad esempio la stravaganza, la brillantezza e la profondità di quanto arrivava dall'Italia e dalla Francia. Queste novità, come abbiamo accennato sopra, divennero parte integrante del suo stile.
Inoltre, c'è chi sostiene che il mancato incontro nel 1719 con il coetaneo Handel, già navigato operista, e Bach stesso, il quale aveva viaggiato a lungo per incontrarlo, avrebbe potuto aprire anche una stagione operistica nella carriera di Bach, cosa che non potè mai avvenire giacché Bach arrivò in ritardo di qualche giorno all'appuntamento.
Infine, il Quaderno di Anna Magdalena Bach. Negli anni 1722-1725 Bach stesso selezionò pezzi suoi e di altri compositori e ne fece una raccolta che donò alla moglie. Fra le altre, vi sono presenti numerose composizioni ad opera del giovane figlio Carl Philipp Emanuel (il quale all'epoca aveva circa dieci anni!), le quali già parlano una lingua che in qualche modo prefigura la cantabilità e l'immediatezza dello stile galante. Prova del fatto che casa Bach era comunque attraversata da nuove tendenze e linguaggi, che venivano liberamente esplorati. Non è quindi un caso se lo stesso Carl Philipp Emanuel divenne, di lì a pochi anni, il principale traghettatore del gusto barocco nell'era del classicismo, guadagnandosi la venerazione di tutti i principali compositori dell'epoca, come vedremo fra poco.
In un ambiente chiuso e settario, come poteva apparire nell'immaginario collettivo la famiglia Bach, dove regnavano rigide ed imperturbabili regole musicali, ciò sarebbe stato inimmaginabile e quindi geni innovatori come Carl Philipp Emanuel, Wilhelm Friedmann e Johann Christian Bach non avrebbero mai potuto vedere la luce.




Il fortepiano si fa strada

La prima opera conosciuta scritta espressamente per fortepiano fu la raccolta di "12 sonate da cimbalo di piano e forte detto volgarmente di martelletti", pubblicate nel 1732 dal pistoiese Lodovico Giustini.


In quell'epoca, il fortepiano era ancora uno strumento di nicchia ed era ben lungi dall'essere il protagonista delle scene europee che invece divenne circa trent'anni dopo. Nel frattempo, verso la metà del Settecento, il gusto musicale continuava a mutare: lo stile galante e l'empfindsamer stil (o "stile sentimentale", espressione del movimento Sturm und Drang) facevano incursione nel linguaggio musicale e preludevano a quello che a breve sarebbe stato il primo Classicismo e quindi il Romanticismo.

 


 
Il contrasto di umori, più o  meno repentino, anche all'interno della stessa composizione, la tendenza alla melodia ed una significativa diminuzione dell'utilizzo della polifonia e del contrappunto sono solo alcune delle trasformazioni in corso.
Così com'era sempre avvenuto nella Storia della Musica, anche stavolta gli strumenti musicali dovevano essere funzionali al linguaggio, ma al tempo stesso il linguaggio doveva potersi servire degli strumenti del periodo, in uno scambio dialettico che da una parte potesse tradurre le nuove esigenze espressive in possibilità strumentali, dall'altra che spingesse a migliorare gli strumenti nella direzione di un maggiore accordo con le necessità del musicista.

Un fortepiano "Stein" (1775)


Fu così che la seconda metà del Settecento vide l'esplosione del fortepiano parallelamente allo sviluppo dello stile Classico. Haydn (1732-1809), Mozart (1756-1791) e Clementi (1752-1832) furono solo alcuni dei protagonisti di questo periodo, che vide un forte sviluppo della letteratura specifica del "gravicembalo con il piano e il forte". Periodo che coincide con l'affermazione di grandi costruttori tedeschi come Stein, Walter (ai quali accostiamo sicuramente il nome di Mozart) e di tutta la scuola inglese (fra cui Broadwood), alla quale fra gli altri era particolarmente legato Clementi.
 
Fortepiano "Walter"  
posseduto da Mozart nell'ultima parte del suo periodo viennese

Le cinquantadue sonate di Haydn rappresentano tuttora delle pagine di grande valore per la nascita del pianismo della scuola Viennese, le quali servirono da ispirazione per le prime sonate di quello straordinario musicista che divenne, di fatto, il principale protagonista della scena musicale della seconda metà del Settecento: Wolfgang Amadeus Mozart





Genio precocissimo (componeva già dall'età di cinque anni), si impose ben presto come un talento universale, riuscendo a spaziare con grande facilità in tutti gli ambiti della musica del periodo, dalla musica strumentale all'opera, alla musica sacra.

La musica per tastiera riveste un'importanza considerevole nella sua opera complessiva, parliamo di 18 sonate più numerose variazioni e pezzi sparsi, fino ad arrivare a monumentali concerti per pianoforte e orchestra. Il tutto, di fondamentale  importanza per la totalità della musica che avrebbe visto la luce dopo di lui.




Negli stessi anni Mozart divideva la scena del pianismo europeo con il romano di nascita ma inglese d'adozione Muzio Clementi, solo di pochi anni più anziano, al quale fu successivamente riconosciuto il grande apporto dato, per molti anni, allo sviluppo della tecnica pianistica, attraversando tanti stili e generi (memorabile è il suo metodo "Gradus ad Parnassum") e del pianoforte romantico.




Le cronache del celebre duello al fortepiano fra Mozart e Clementi, che ebbe luogo davanti all'imperatore Giuseppe II d'Austria, ci restituiscono il tenore del confronto fra questi due giganti.

Clementi non fece una buona impressione su Mozart, il quale rimproverò all'avversario soprattutto uno sfoggio di tecnica fine a se stesso, senza inventiva, a sua detta da mero mechanicus.
Clementi, al contrario, dal canto suo lodò ampiamente l'esibizione di Mozart, riconoscendogli grande creatività ed inventiva.
Per l'imperatore fu praticamente impossibile decretare il vincitore di questo scontro fra titani, quindi il duello si concluse sostanzialmente in parità.


Oltre a una grande produzione in campo solistico, emergono sempre più i concerti per fortepiano e orchestra, traducendo la tradizione già consolidata da un cinquantennio del concerto per clavicembalo e orchestra. 

In questo senso, il fortepiano va progressivamente a sostituire il clavicembalo in veste sia solista che in orchestra, anche se in quest'epoca di transizione, di fatto, non vi fu mai una contrapposizione fra i due strumenti. Mozart, ad esempio, si formò sia sul clavicembalo che sul fortepiano. Lo stesso dicasi per Clementi, il quale, ad esempio, oltre ad aver previsto l'intercambiabilità fra i due strumenti in molte sue sonate, scrisse il suo unico concerto per tastiera e orchestra specificando che poteva essere eseguito indifferentemente sia su fortepiano che su clavicembalo. Ed è interessante notare come questo sia avvenuto in un'epoca in cui il fortepiano era già molto affermato, parliamo infatti del 1796.
Inoltre, le diciture "Clavicembalo 1mo" e "Clavicembalo  2do" per l'organico della celebre sonata in re maggiore KV448 di Mozart del 1784 (peraltro legata al suggestivo "Effetto Mozart"), sono un ulteriore indicatore del doppio volto degli strumenti a tastiera del periodo:

 
Ancora per molto, il clavicembalo continuerà anche ad essere il centro del basso continuo nelle esecuzioni orchestrali del primo classicismo, nonchè il principale accompagnatore dei recitativi nelle rappresentazioni operistiche, almeno fino ai primi dell'Ottocento, quando questa pratica di accompagnamento fu progressivamente abbandonata.

Verso il Romanticismo

L'Ottocento è, per buona parte, il secolo del Romanticismo. I tratti distintivi di questo movimento artistico sono rintracciabili sicuramente nel tardo Barocco quindi nel primo Classicismo, in quel periodo di transizione di cui abbiamo parlato che vede sensibilità come lo Sturm und Drang e l'influenza dell'Illuminismo fare irruzione nei vari campi artistici, nello specifico nella produzione musicale. 
Due dei figli di J.S. Bach, Carl Philipp Emanuel e Wilhelm Friedemann, da questo punto di vista, furono fra i principali precursori del Romanticismo, specialmente per quanto riguarda la loro produzione per tastiera.


L'influenza di C.P.E. Bach sui suoi "discendenti" musicali fu enorme, fu infatti stimato e preso a modello da intere generazioni di musicisti, da Haydn a Mozart, da Beethoven a Brahms, i quali in più occasioni non mancarono di rimarcare il forte debito che avevano nei suoi confronti.
Il Romanticismo musicale, così come lo intendiamo oggi, si fonda quindi su quegli elementi estetici che emersero già nella produzione musicale della seconda metà del Settecento e che furono trasportati nell'Ottocento principalmente dal Classicismo Viennese (Haydn, Mozart, Beethoven). È proprio nel XIX secolo che la "gestione" romantica del sentimento prende il sopravvento ed il pianoforte viene elevato a simbolo di questa trasformazione.
È in questo contesto di transizione che emerge Ludwig Van Beethoven (1770-1827).



Il lascito pianistico di Beethoven consiste in trentadue sonate, numerose variazioni e molti altri pezzi, nonché grandi concerti per pianoforte e orchestra. Tutto questo corpus è un preciso indicatore dello sviluppo musicale del compositore, che nel solco del Classicismo viennese affermò la sua straordinaria statura approdando a soluzioni musicali sempre più personali.

Forte della lezione di Haydn, Mozart e Clementi, Beethoven pone le basi della rivoluzione pianistica che consentirà ai grandi nomi del pianismo ottocentesco Franz Schubert (1796-1828, già legato alla scuola Viennese), Fryderyk Chopin (1810-1849), Franz Liszt (1811-1886) e Johannes Brahms (1833-1897) di attraversare il secolo spingendo la tecnica pianistica sempre più in avanti, al tempo stesso richiedendo all'esecutore un virtuosismo sempre più marcato.

Due strumenti (Broadwood e Graf) appartenuti a Beethoven

Fortepiani e pianoforti

Verso i primi dell'Ottocento, il clavicembalo iniziò ad essere abbandonato in favore del fortepiano, il quale si era sempre più reso funzionale al linguaggio musicale del tempo. 
I perfezionamenti tecnici fecero del fortepiano uno strumento sempre più "perfetto" dal punto di vista costruttivo. L'estensione della tastiera andava sempre più aumentando, quella che prima era una ginocchiera posta sotto alla tastiera divenne un vero e proprio pedale di risonanza come lo conosciamo oggi, al quale se ne affiancarono almeno altri due, il pedale "una corda" e il pedale "tonale". Il numero delle corde per tasto aumentò, rendendo il suono più potente. Inoltre, la disposizione delle corde stesse, sia nei modelli a coda che nei verticali, si distaccò dalla disposizione perpendicolare alla tastiera tipica dei fortepiani prodotti fino a quel momento. Infine, ai telai in legno verranno incastonati pesanti telai in ghisa.
Secondo una recente distinzione linguistica, iniziamo quindi a parlare propriamente di pianoforte quando, nell'Ottocento, la quantità di modifiche apportate determinano un distacco sostanziale dall'originario fortepiano, il quale conservava ancora un forte legame costruttivo con il clavicembalo ed in generale con tutta l'arte cembalara precedente. 
Questa definitiva affermazione, come abbiamo accennato, coincide sicuramente con il maturare dell'estetica romantica. Anche stavolta, come in passato, i pianisti e compositori del periodo possono far affidamento su grandi costruttori, che contribuiscono a fissare una volta per tutte le "specifiche" del pianoforte così come lo conosciamo oggi. 
Fra i nomi più importanti che caratterizzano questo periodo storico spiccano sicuramente quelli dei francesi Erard e Pleyel, che associamo immediatamente ai nomi di grandi pianisti e compositori come Chopin e Liszt.


Il Novecento

L'Ottocento si chiude con il superamento dell'estetica romantica in favore di altre sensibilità musicali, su tutte l'Impressionismo di cui Claude Debussy (1862-1918) e Maurice Ravel (1875-1937) sono i principali esponenti ed il cui pianismo riveste una enorme importanza.
La strada è quindi spianata per il Novecento, che vedrà il fiorire di numerose correnti artistiche (come ad esempio la Seconda Scuola Viennese) le quali traghetteranno il pianoforte (la cui evoluzione costruttiva all'epoca è già pressoché completa da decenni) nell'era contemporanea.
Nel frattempo, già dalla fine dell'Ottocento, il pianoforte si fa strada in altri ambiti musicali. È il caso del ragtime, genere prevalentemente pianistico interamente nato e sviluppatosi negli Stati Uniti, soprattutto ad opera di geniali compositori ed esecutori come Scott Joplin. Il ragtime fu poi uno degli elementi musicali che andranno a comporre il multiforme mosaico del jazz, a partire dagli anni '10 del Novecento, all'interno del quale il pianoforte riveste un'importanza speciale.

Nel corso del Novecento il settore pianistico assume sempre più forme industriali e consolida l'architettura del moderno pianoforte. Si affermano grandi marchi i quali nel tempo diverranno dei veri e propri must all'interno concerti ed eventi.
Su tutti la Steinway & Sons, industria di New York, diventa con i suoi prestigiosi strumenti una presenza diremmo imprescindibile nella stragrande maggioranza dei momenti musicali pubblici o delle incisioni. 
Si affermano nel tempo vere e proprie esclusive per alcuni grandi interpreti, i quali scelgono di associare il proprio nome al marchio: uno dei casi più celebri è quello di Glenn Gould (famoso sopratutto per le sue originali interpretazioni di Bach), il cui nome è indissolubilmente legato al timbro ed alle peculiarità proprio degli strumenti Steinway.


Interpretazioni storiche e filologia

Con l'esplosione ottocentesca del pianoforte, strumenti come il clavicembalo ed il clavicordo furono sostanzialmente accantonati. 
Al tempo stesso, composizioni espressamente concepite per clavicembalo venivano, spesso maldestramente, interpretate esclusivamente su pianoforte. Ma tra la fine del diciannovesimo secolo e l'inizio del ventesimo, emerge la necessità di ricercare le autentiche sonorità che si celavano, tanto per fare un esempio, dietro alla monumentale opera per tastiera di Bach.  Quindi, anche grazie al rinvigorirsi della tradizione cembalara che mette in atto la modernizzazione dello strumento (grazie soprattutto a case come Wittmayer e Neupert), nascerà di lì a poco una scuola di intepreti che nel giro di un cinquantennio porterà dalle pionieristiche interpretazioni di Wanda Landowska alla scuola moderna capeggiata da musicisti come Gustav Leonhardt
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Un moderno clavicembalo da concerto "Wittmayer"

Dalla metà del Novecento, nascono vere e proprie scuole interpretative che mirano a ristabilire un rapporto il più possibile autentico fra lo strumento e la composizione, specialmente per quanto riguarda il repertorio fino alla prima metà dell'Ottocento. Le esecuzioni storiche ed in generale le intepretazioni su strumenti dell'epoca o su riproduzioni moderne di strumenti antichi (non solo tastiere ma anche archi e fiati), hanno come principale obiettivo una ricerca che non si esaurisce in un esercizio di tipo archeologico sperimentale; piuttosto, il fine primario è quello di sintonizzarsi il più possibile con lo spirito e l'essenza della composizione, attraverso uno studio costante della prassi esecutiva dell'epoca, associata all'utilizzo degli strumenti e delle tecnologie allora disponibili
L'impiego di un solo tipo di strumento, moderno, per interpretare indistintamente un repertorio di circa quattrocento anni, inevitabilmente mette a tacere una vasta gamma di peculiarità, che possono emergere solo se si impiega lo strumento giusto nel modo giusto.
Così facendo, la composizione assume forme nuove, imprevedibili e nuovi colori e sfumature appaiono improvvisamente.

Nel solco di questa rivoluzione interpretativa, parallelamente all'evoluzione della nuova scuola clavicembalistica (composta principalmente dal già citato Gustav Leonhardt, Karl Richter, Ton Koopman, Davitt Moroney, Bob Van Asperen, Ottavio Dantone) sono emersi grandi fortepianisti come Steven Lubin, Ronald Brautigam, Robert Hill e Andrea Coen, i quali hanno gettato una luce nuova sul repertorio pianistico settecentesco e ottocentesco, consentendo quindi al grande pubblico un ascolto ancor più interessante e consapevole.



Jurij Nascimben

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Dal clavicordo al pianoforte: breve viaggio nel mondo in tasti bianchi e neri di Jurij Nascimben è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.

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